Ho capito che alle cose, io, ci arrivo sempre un pochino dopo. È sempre stato così, fin da quando ero piccola, ad un certo punto i medici avevano detto a mia madre che sua figlia aveva la crescita ossea in ritardo di due anni, per qualche tempo, fino a che non si è stabilizzata ed ha ricominciato ad andare di pari passo con l’età. Che poi io, piccola, ci sono rimasta lo stesso, ma questa è genetica, nessuno puó farci nulla. Questa cosa mi fa pensare a quando qualcuno, colui che consideravo un grande amore, mi aveva detto “Se fossi stata più alta di dieci centimetri, saresti stata una figa pazzesca e ti avrei sposata subito”. Adesso io non voglio insultare le persone, ma se il tuo cervello fosse stato un po’ più voluminoso, forse, ti avrei sposato io. E per “voluminoso” intendo “avvincente”. Comunque torniamo al principio, ho capito che alle cose ci arrivo sempre un pochino dopo, mi innamoro sempre dopo e sempre quando mi dico “non succederà”. Mi innamoro coi miei tempi. Mi innamoro dei difetti subito, ma di come mi fanno sentire, dopo. Mi innamoro di una voce, a volte, perché mi manca sentirla intorno. L’ultima volta, per esempio, mi sono innamorata senza nemmeno sentirla, la sua voce, perché quel giorno non ne aveva. Mi innamoro delle fossette sul viso, quando riguardo le foto, perché magari alcune non le avevo notate, che ne so perché, forse perché stavo più attenta agli occhi quando il sole li illuminava. Mi innamoro delle cicatrici, ma di quelle quasi subito, perché voglio sapere sempre cosa è successo prima, voglio sapere cos’è che l’ha fatto arrivare al momento in cui è davanti a me. Mi innamoro delle mani, quando mi sanno tenere, possedere, quando le vedo tremare, e per tremare intendo che tremano proprio quando devono toccarmi, quando hanno paura, quando soffrono. Mi innamoro delle mani, soprattutto quando non sono più qui a sfiorarmi. Ho sempre avuto il mio tempo, un po’ per tutto. Un po’ per capire gli altri, un po’ per capire le situazioni. Un po’ per capire te, un po’ per capire me.
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